Mi presento
Quando frequentavo i corsi di storia dell’arte all’Università Cattolica di Milano, non pensavo al teatro. Seguivo le lezioni su Giotto e sui primitivi fiorentini tenute da Miklós Boskovitz, il professore che incuteva un rispetto reverenziale per il suo metodo rigoroso supportato da una disciplina maniacale (“lavorate, lavorate; vi riposerete nella tomba”, era la sua ricorrente incitazione). Mi laureai nel 1989 con una tesi su un arioso pittore del Settecento lombardo, Giuliano Traballesi.
Lasciati i chiostri in mattone antico dell’Ateneo, varcai la soglia del Palazzo dell’Informazione in Piazza Cavour, dove la redazione del quotidiano «Il Giorno» disponeva, essendo collocata a un piano superiore, di una vista mozzafiato sulla vaga sagoma delle Prealpi.
Non fu facile abbandonare la scrittura accademica per il più spigliato linguaggio giornalistico della critica d’arte, ma ebbi la soddisfazione di vedere gli articoli appena stilati occupare pagine intere con un compendio di immagini che nessun altro quotidiano a quell’epoca offriva. A Gianpiero Grecchi e Gianni Buosi ne sarò sempre grata! I ritmi richiesti per la consegna di un pezzo rasentavano la follia: di volata si prendeva un treno per Roma, Venezia e Firenze, per dettare al dimafono (sembra preistoria) l’articolo sull’ultima mostra degli impressionisti, le novità presenti in Biennale o nell’Internazionale dell’antiquariato.
Dopo sette anni di giornalismo militante smisi di lottare con il tempo, e mi dedicai a riassettare i circa dodicimila disegni scenografici in un angusto scantinato (in realtà l’ex caveau di una banca), che il Teatro alla Scala aveva temporaneamente preso in affitto.
Come conservatrice del patrimonio scenografico del maggiore teatro del mondo, potei così toccare con mano i capolavori di Casorati, Cocteau, Burri, Carrà, De Chirico, Fontana, Foujita, Marini, Savinio, Soffici, Sironi. Per la prima volta compresi che il teatro rappresentava per molti pittori non uno sporadico impegno, bensì l’altra faccia della loro arte, la loro tentazione segreta. E guardandomi attorno vidi che si trattava di un campo d’indagine storica quasi completamente trascurato, con le importanti eccezioni di storici quali Maria Teresa Muraro e dopo di lei, Maria Ida Biggi a Venezia; Moreno Bucci a Firenze; a Torino una decana, l’impareggiabile Mercedes Viale Ferrero.
Decisi quindi di ridare vita a bozzetti e figurini raccontandone la storia e ricostruendo il profilo dei loro autori. Ho iniziato nel 2000 e non ho mai smesso. Il Teatro alla Scala, gli Amici della Scala ed altre istituzioni internazionali me ne hanno dato l’opportunità pubblicando regolarmente il mio lavoro. Carlo Fontana fu il primo sovrintendente della Scala a credere in me: gli sono grata come sono grata a Stéphane Lissner, che mi ha rinnovato la fiducia con generosità.
I nomi più lontani nel tempo dei fratelli Galliari, Paolo Landriani e Caramba hanno aperto finestre sulla Milano absburgica, napoleonica e di primo Novecento. Oggi li ricordano in pochi, ma furono scenografi di fama leggendaria, suscitatori e testimoni del gusto artistico di un’epoca. Figure complesse, segnate da intricate vicende biografiche, in un succedersi di mutamenti politici, antagonismi, rovesci finanziari, glorie e oblii che hanno forgiato i loro stili personalissimi; e soprattutto personaggi vicini a noi, con gli stessi sogni e le medesime passioni.
Lo studio più sofferto per me rimane quello dedicato a Piero Zuffi, geniale artista sparito nel nulla. Cercando di rintracciare dove mai stesse, mi lanciai in una sorta d’impresa investigativa sfociata purtroppo nella presa d’atto del suicidio. Si sentiva dimenticato da tutti e non sapeva che la Scala stava per dedicargli una monografia che avrebbe rilanciato l’interesse intorno a lui. La pubblicazione a lui dedicata (2007) ha il sapore amaro di un appuntamento mancato: un gesto d’amore che avrebbe forse cambiato il suo destino.
Il ricordo più commosso risale invece al 2000, quando m’inerpicai sull’angusta scaletta di un vecchio palazzo parigino per far visita alla “mitica” Lila De Nobili, l’ultima grande protagonista della scenografia pittorica. Nel sottotetto di un umile appartamento, in un muto colloquio con una vecchina che comunicava con il moncherino di una matita data la totale sua sordità, mi ritrovai catapultata in un tableau vivant di Bohème. Stessi riflessi di luce svaporante in una nube dorata: la coerenza biografica di una donna che non ha mai disgiunto la vita dalla poesia.
Molte storie ho cercato di raccontare, e con esse il tratto tutto umano di ciascun protagonista. Ho conosciuto da vicino l’ultima ondata di una civiltà artistica morente, figure come Gian Carlo Menotti, Giorgio Strehler, Lele Luzzati, Josef Svoboda, Fabrizio Clerici, Luigi Veronesi, Piero Dorazio, Renzo Mongiardino. Gianni Ratto, al quale ho dedicato una monografia, ha voluto ritrovare la sua Milano prima di spegnersi: attorniato come sempre da belle ragazze (incluse moglie e figlia), è giunto dal Brasile col sorriso e la nostalgia di un mondo perduto per sempre. Forgiato dalla medesima scuola del Piccolo, Luciano Damiani ha sempre ribadito, con coerente cocciutaggine, le proprie innovazioni dello spazio scenico. La sua natura di sognatore ha infine prevalso sulla tempra di ferrea pragmaticità: per il Teatro dei Documenti ha immolato se stesso. E’ stato un amico schietto e sincero.
A molti fra i protagonisti della scenografia contemporanea mi legano rapporti di affetto, rafforzati dall’aver lavorato insieme. Di Ezio Frigerio e Franca Squarciapino ho goduto della generosa ospitalità nelle loro varie dimore (in Turchia, a Parigi, Roma e Milano), palcoscenici nei quali s’intrecciano invenzioni ed esperienze di viaggi, fantasie e amori per un ricamo orientale, un busto romano, un dipinto del Settecento. Con nobiltà cardinalizia Pier Luigi Pizzi mi ha introdotto nella propria reggia veneziana; la vasta raccolta di dipinti seicenteschi, disposta su più registri lungo le pareti color salmone, sembra quasi voler custodire l’aroma di un mondo scomparso. Eppure il suo sguardo di collezionista si è sempre spinto in avanti per tramutare i progetti futuri in un impegno del presente. E soprattutto, mi ha testimoniato la propria amicizia.
Ogni incontro ha rinnovato uno stimolo e la volontà di approfondimento: affetto e stima mi legano a Franco Zeffirelli, Piero Tosi, Filippo Crivelli, Emilio Carcano, Claudine Gastine, Maurizio Balò, Luisa Spinatelli, Gianni Quaranta, Dada Saligeri. Mondi diversi, stili diversi, e in comune la divorante passione per l’arte e il teatro.
Infine, il mio debito scientifico ma soprattutto umano rimarrà incolmabile verso Francesco Degrada.
Queste e altre esperienze ho deciso di ordinare in un sito, quale momento di riflessione, per condividerle con studiosi, appassionati, e amici.
Milano, novembre 2009